L'uomo e l'ambiente / Il contesto italiano: la fase regionale e la legge quadro
Gli anni in cui l'azione delle regioni è prevalente, sono ricchi di una forte carica innovativa e si sviluppa un intenso dibattito nel mondo politico, scientifico ed in quello dell'associazionismo, per il modo di affrontare l'idea della tutela del territorio. Proposte che sfuggono ad una rigida classificazione e spostano l'obiettivo verso soluzioni modellate su specifiche problematiche territoriali, avviate quasi ovunque con poche risorse materiali ed umane ma, soprattutto, in assenza di modelli gestionali da seguire, se non alcune esperienze europee, in quanto non possono essere considerati tali i parchi storici, afflitti da numerose vicissitudini.
Con l'istituzione delle regioni a statuto ordinario prende, invece, avvio una fase di politica ambientale che propone una visione basata su una prospettiva che privilegia un'ottica strategica di pianificazione ed integrazione delle aree protette nel tessuto territoriale. Il decreto sul trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni si prospetta, inoltre, come uno strumento d'intervento di particolare importanza, in grado di offrire soluzioni adeguate per risolvere le problematiche sorte fino ad allora, e la cui novità più rilevante consiste nel cercare di coniugare la conservazione delle risorse ed il loro utilizzo in un'ottica di compatibilità, tenendo anche conto del mutamento quali-quantitativo delle attività umane, e nel definire i termini per approvare una disciplina generale per parchi e riserve; purtroppo, crea molte aspettative che saranno deluse, e genera, soprattutto, un’incertezza sul riparto delle competenze.
La disciplina, in sostanza, congela la situazione senza chiarire i rapporti tra i diversi enti territoriali interessati; il Legislatore, poi, interviene più volte dettando numerose disposizioni tutte volte, però, a recuperare le competenze in precedenza trasferite alle regioni. Un confronto tra le esperienze dei parchi nazionali e regionali individua, quindi, il prevalere di una fase conservativa nei primi, cui corrisponde una fase d'evoluzione compatibile nei secondi, che sostengono, sostanzialmente, un'opera di supplenza verso la legge quadro, contribuendo a formare competenze politiche, amministrative e tecniche che si riverseranno, poi, nei nuovi parchi nazionali.
Nel 1980, un disegno di legge prevede la trasformazione dei parchi nazionali in enti autonomi, la suddivisione del territorio del parco in zone diversificate di destinazione e tutela, la determinazione delle attività precluse, l'istituzione di nuovi parchi nazionali, riserve e parchi marini, nonché del Consiglio nazionale per la protezione del patrimonio naturale, con rappresentanza di tutti i soggetti interessati, Stato, regioni, comunità montane, comunità scientifica ed associazioni ambientaliste, con compiti di coordinamento, indirizzo e controllo; quando però è già all'ordine del giorno dei lavori parlamentari, decade per fine legislatura, così come altre proposte presentate nelle due successive. Tuttavia, nell'ottobre dello stesso anno, l'Università di Camerino ospita un convegno, che per molti aspetti può definirsi storico, dove i temi dell'ambiente sono ripresentati nella loro centralità ed unitarietà, per cercare di superare i contrasti tra il ruolo esercitato dallo Stato e quello delle autonomie locali, ed in cui si lancia anche la proposta di realizzare entro fine secolo un sistema di aree protette su una superficie pari ad almeno il 10% del territorio nazionale. Tra i provvedimenti legislativi più importanti si segnala, infine, una legge che obbliga le regioni a sottoporre il proprio territorio ad una specifica normativa d’uso e valorizzazione ambientale tramite l'elaborazione di piani d'intervento che impongano vincoli di inedificabilità scelti tra quelli paesistici ed urbanistico territoriali, superando così la contrapposizione creatasi negli anni Trenta; un'impostazione che trova, però, le strutture regionali impreparate.
Con la legislatura che ha inizio nel 1987, il Parlamento manifesta un rinnovato interesse ed una maggiore attenzione verso le problematiche ambientali, che trova immediata conferma nella sollecita presentazione di numerosi progetti di legge; su uno, in particolare, converge una vasta adesione di deputati rappresentanti molti dei gruppi parlamentari. Il gruppo di esperti che collabora alla sua elaborazione, tra cui esponenti delle associazioni ambientaliste e scientifiche, cerca di accogliere gli aspetti più interessanti ed innovativi delle precedenti iniziative legislative e della giurisprudenza ambientale. L'iter si sviluppa, tuttavia, in un lungo e contrastato dibattito ricco di notevoli aspetti conflittuali che riguardano, soprattutto, l'elenco dei nuovi parchi nazionali, le modalità di scelta dei direttori, e la discussione sul nulla osta del Consiglio direttivo dell'ente, ovvero sulla procedura del silenzio assenso; l'affollamento di progetti, infatti, può impedirne un tempestivo esame lasciando così spazio all'automatica e tacita adesione anche per interventi ed opere inopportuni. Altro elemento di contrasto si evidenzia nella contrapposizione tra la visione accentratrice, secondo cui i parchi nazionali devono essere gestiti direttamente dallo Stato tramite gli enti parco, con la riduzione del ruolo degli enti locali, e quella regionalista, per la quale il compito di scegliere le forme di gestione più idonee spetta alle regioni in base alle funzioni loro attribuite, Chiamata ad esprimersi, la Corte Costituzionale indica in uno spirito di leale collaborazione la via da seguire per dare forza ed unitarietà all'azione.
Dopo molte discussioni ed attese, le idee manifestate trovano finalmente una concreta attuazione, nel dicembre del 1991, nell'approvazione della legge quadro che prevede un coordinamento tra le politiche ambientali e quelle urbanistiche attraverso l'elaborazione di un documento di pianificazione integrato, il piano del parco, per evitare delle dannose sovrapposizioni. Suscita quindi molte attese che vanno, però, oltre le reali capacità e, nella sostanza, lascia molte incertezze di carattere interpretativo; tuttavia, dai difficili passi dei primi anni del Novecento, quando la conservazione della natura coincideva unicamente con la tutela delle bellezze paesaggistiche, un traguardo minimo ma non facile comunque da conseguire, si giunge ad una normativa organica che esprime una visione d'insieme, di protezione e valorizzazione di tutti i valori presenti sul territorio. Fornisce, infatti, un quadro normativo che regola e stabilisce la procedura per l'istituzione di parchi e riserve marine, introduce una classificazione ed un elenco ufficiale delle aree protette, prevede le procedure per l'avvio della definizione della Carta della natura che individua lo stato dell'ambiente, premessa necessaria per definire le linee per l'assetto del territorio compatibili con la tutela delle risorse naturali del paese; detta, inoltre, i principi per istituire e gestire i luoghi di particolare importanza naturalistica, proponendosi l'obiettivo di creare un sistema integrato di aree protette che possa promuovere un atteggiamento diverso ed avanzato in tema di governance dell'ambiente, ed evitare un possibile isolamento dovuto ad interventi locali.
Fino alla sua approvazione, infatti, il processo d'integrazione avviene in modo disomogeneo, a tratti occasionale, con uno scarso confronto e coordinamento, e persino delle marcate differenze, fra i diversi momenti istitutivi all'interno di una stessa realtà; la legge quadro invece, apre la strada per un'azione organica di valorizzazione del patrimonio naturale che privilegia il coinvolgimento di tutti i soggetti direttamente interessati. Dispone che il territorio del parco venga articolato “in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela” per permetterne un utilizzo con un diverso livello d'intensità; prevede, infatti, una suddivisione in quattro zone, alle quali si aggiunge all’esterno un’area contigua, con gradi diversi di protezione per conciliare le esigenze di tutela e la presenza dell’uomo con le sue attività agro-silvo-pastorali, gli usi tradizionali, e le altre attività nei limiti di compatibilità stabiliti dal piano.
Le iniziative avviate con la sua introduzione permettono, quindi, di garantire un buon equilibrio tra gli interessi generali della collettività e quelli specifici delle comunità locali; le modifiche apportate negli anni successivi, poi, aggiornano e rafforzano questo rapporto, ma soprattutto avviano una crescente sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul tema della sostenibilità ambientale, nel tentativo di superare il sistema vincolistico del non fare, ovvero dell'imposizione a priori di divieti da rimuovere solo se un'azione si mostri compatibile con il bene tutelato. Dal punto di vista amministrativo si crea l'Ente parco, con il compito di promuovere lo sviluppo del territorio e delle attività che al suo interno si esprimono mediante l'attribuzione di specifiche risorse economiche, sollecitando metodi di gestione idonei a realizzare l'integrazione tra la presenza dell'uomo e l'ambiente salvaguardando le attività tradizionali e promuovendone al tempo stesso la valorizzazione di nuove, compatibili. Diventa quindi prioritario procedere nel fare, nel cercare soluzioni alternative e realizzare nuovi interventi per promuovere la ricerca di una diversa coesistenza. Un compito impostato su considerazioni e strumenti di programmazione innovativi che produce importanti risultati: l'istituzione di nuovi parchi nazionali, Vesuvio, Val Grande, Gargano, Maiella, Gran Sasso e Monti della Laga, Cilento e Vallo di Diano; la definizione di un quadro normativo ed organizzativo unitario per tutte le aree protette; la designazione degli organi e degli strumenti utilizzabili per la gestione.
La sua applicazione incontra, tuttavia, anche difficoltà che determinano ritardi e generano situazioni conflittuali: ad esempio, l'originario elenco predisposto per istituire nuovi parchi nazionali viene ridotto a causa degli insufficienti stanziamenti, con l'esclusione di siti di notevole interesse. Dei parchi esistenti, poi, solo il Gran Paradiso, lo Stelvio e quello d'Abruzzo vengono organizzati secondo la nuova normativa; gli organismi d'indirizzo evidenziano inoltre, pesanti disfunzioni nell'elaborare gli strumenti di programmazione manifestando, il pericolo di ridurre l'intera politica ad una dimensione settoriale senza la necessaria forza strategica ed innovativa; paradigmatico in tal senso è il complicato iter per l'elaborazione della Carta della natura, strumento simbolo di una nuova impostazione, che evidenzia pienamente il difficile percorso, anche culturale, che si è dovuto compiere e le potenzialità rimaste inespresse. La logica burocratica, a tratti prevalente, porta poi ad accentrare le decisioni e produrre contrasti con le comunità locali che vedono, spesso, nella legge soltanto una fonte di nuovi vincoli ed ostacoli difficilmente comprensibili ed accettabili, facendo sentire l'istituzione delle aree protette come un'esigenza imposta, senza la necessaria attenzione per valorizzare le potenzialità del territorio e consentirne un proprio equilibrio. Lì dove si attua una politica esclusiva di conservazione le aree interessate sono, quindi, allontanate dai processi di sviluppo, con negative ripercussioni economiche, al tempo stesso, però, questa marginalità consente di sottrarne molte ai possibili effetti degenerativi; in un ambiente protetto questi territori possono, così, essere promotori del recupero di tradizioni e radici locali, e ciò rappresenta una ricchezza fondamentale per ridisegnare e sostenere un modello di sviluppo fondato sulle ragioni e prospettive di vita tipicamente legate al territorio ed alle sue popolazioni, in grado di generare benefici estesi oltre le realtà locali.
L'approvazione della legge quadro manifesta, quindi, la volontà d'individuare una politica che realizzi un'effettiva integrazione, anche attraverso la modifica dell'idea di tutela, caratterizzata dall'integrare la presenza degli aspetti della protezione con quelli dello sviluppo; la teoria vincolistica è, così, superata dalla sperimentazione di una diversa interazione tra le parti, ed il parco, identificato come un laboratorio per realizzare trasformazioni e creare nuove opportunità. Costituisce, quindi, una radicale svolta all’interno del nostro ordinamento; si fa interprete di due diritti fondamentali riconosciuti nella Carta costituzionale, la protezione del paesaggio e della salute, che dal loro disposto vengono a costituire un autonomo diritto dovere, quello della protezione ambientale; attribuisce, poi, alle aree protette la finalità di “garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale”. Emerge quindi, chiaramente, che lo scopo delle aree naturali protette, partendo dalla protezione della natura, deve tendere a garantire anche al loro esterno un diverso modello di sviluppo, basato sulla sostenibilità del rapporto tra l’uomo e le risorse naturali, su cui innestare un innovativo concetto di conservazione.
Un significativo cambiamento culturale, sintesi del dibattito svolto, che propone aspetti di notevole riflessione nel momento in cui individua il proposito di "realizzare un'integrazione tra uomo ed ambiente", e promuovere "la valorizzazione e sperimentazione di attività produttive compatibili" attraverso una gestione in cui " Stato, regioni ed enti locali attuino forme di cooperazione ed intesa"; i criteri che delinea sono dunque volti a creare e sviluppare un sistema di aree protette per garantire e promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese. A distanza di tempo, ha mantenuto un'inalterata validità dei principi espressi, ed ispirato la normativa successiva “nuovi interventi in campo ambientale”, che ha compiuto un notevole passo in avanti nello sviluppo del concetto di conservazione e promozione dell'ambiente, e dato un forte impulso all'idea della rete ecologica nazionale, dando la possibilità al Ministro dell’Ambiente di promuovere accordi di programma per lo sviluppo di azioni economiche sostenibili nei sistemi territoriali individuati; la novità più significativa, in quanto riconosce per la prima volta il concetto di sistema territoriale.
Al momento dell'approvazione della legge quadro solo il 3% del territorio nazionale era tutelato, mentre oggi (maggio 2003) le aree protette sono ufficialmente 751, diffuse su tutto il territorio nazionale fino ad interessarne oltre il 10%, una percentuale doppia rispetto alla media europea che è del 5%, con 21 parchi nazionali, 16 riserve marine, 99 parchi e 332 riserve naturali regionali, 145 riserve naturali statali, oltre ad altre aree diversamente protette; una realtà composita che ha alimentato molte esperienze di conservazione e maturazione. Soprattutto per le comunità locali, il parco è stata l'occasione per la riscoperta della propria identità storica e culturale, fino alla restituzione del loro nome a territori che erano quasi scomparsi dalle mappe culturali e turistiche; ma è la stessa idea di parco ad essere uscita arricchita da questo processo, rispetto ad una concezione e percezione che la interpretavano sostanzialmente come espressione di esclusività. (© riproduzione riservata)
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> L'uomo e l'ambiente
Con l'istituzione delle regioni a statuto ordinario prende, invece, avvio una fase di politica ambientale che propone una visione basata su una prospettiva che privilegia un'ottica strategica di pianificazione ed integrazione delle aree protette nel tessuto territoriale. Il decreto sul trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni si prospetta, inoltre, come uno strumento d'intervento di particolare importanza, in grado di offrire soluzioni adeguate per risolvere le problematiche sorte fino ad allora, e la cui novità più rilevante consiste nel cercare di coniugare la conservazione delle risorse ed il loro utilizzo in un'ottica di compatibilità, tenendo anche conto del mutamento quali-quantitativo delle attività umane, e nel definire i termini per approvare una disciplina generale per parchi e riserve; purtroppo, crea molte aspettative che saranno deluse, e genera, soprattutto, un’incertezza sul riparto delle competenze.
La disciplina, in sostanza, congela la situazione senza chiarire i rapporti tra i diversi enti territoriali interessati; il Legislatore, poi, interviene più volte dettando numerose disposizioni tutte volte, però, a recuperare le competenze in precedenza trasferite alle regioni. Un confronto tra le esperienze dei parchi nazionali e regionali individua, quindi, il prevalere di una fase conservativa nei primi, cui corrisponde una fase d'evoluzione compatibile nei secondi, che sostengono, sostanzialmente, un'opera di supplenza verso la legge quadro, contribuendo a formare competenze politiche, amministrative e tecniche che si riverseranno, poi, nei nuovi parchi nazionali.
Nel 1980, un disegno di legge prevede la trasformazione dei parchi nazionali in enti autonomi, la suddivisione del territorio del parco in zone diversificate di destinazione e tutela, la determinazione delle attività precluse, l'istituzione di nuovi parchi nazionali, riserve e parchi marini, nonché del Consiglio nazionale per la protezione del patrimonio naturale, con rappresentanza di tutti i soggetti interessati, Stato, regioni, comunità montane, comunità scientifica ed associazioni ambientaliste, con compiti di coordinamento, indirizzo e controllo; quando però è già all'ordine del giorno dei lavori parlamentari, decade per fine legislatura, così come altre proposte presentate nelle due successive. Tuttavia, nell'ottobre dello stesso anno, l'Università di Camerino ospita un convegno, che per molti aspetti può definirsi storico, dove i temi dell'ambiente sono ripresentati nella loro centralità ed unitarietà, per cercare di superare i contrasti tra il ruolo esercitato dallo Stato e quello delle autonomie locali, ed in cui si lancia anche la proposta di realizzare entro fine secolo un sistema di aree protette su una superficie pari ad almeno il 10% del territorio nazionale. Tra i provvedimenti legislativi più importanti si segnala, infine, una legge che obbliga le regioni a sottoporre il proprio territorio ad una specifica normativa d’uso e valorizzazione ambientale tramite l'elaborazione di piani d'intervento che impongano vincoli di inedificabilità scelti tra quelli paesistici ed urbanistico territoriali, superando così la contrapposizione creatasi negli anni Trenta; un'impostazione che trova, però, le strutture regionali impreparate.
Con la legislatura che ha inizio nel 1987, il Parlamento manifesta un rinnovato interesse ed una maggiore attenzione verso le problematiche ambientali, che trova immediata conferma nella sollecita presentazione di numerosi progetti di legge; su uno, in particolare, converge una vasta adesione di deputati rappresentanti molti dei gruppi parlamentari. Il gruppo di esperti che collabora alla sua elaborazione, tra cui esponenti delle associazioni ambientaliste e scientifiche, cerca di accogliere gli aspetti più interessanti ed innovativi delle precedenti iniziative legislative e della giurisprudenza ambientale. L'iter si sviluppa, tuttavia, in un lungo e contrastato dibattito ricco di notevoli aspetti conflittuali che riguardano, soprattutto, l'elenco dei nuovi parchi nazionali, le modalità di scelta dei direttori, e la discussione sul nulla osta del Consiglio direttivo dell'ente, ovvero sulla procedura del silenzio assenso; l'affollamento di progetti, infatti, può impedirne un tempestivo esame lasciando così spazio all'automatica e tacita adesione anche per interventi ed opere inopportuni. Altro elemento di contrasto si evidenzia nella contrapposizione tra la visione accentratrice, secondo cui i parchi nazionali devono essere gestiti direttamente dallo Stato tramite gli enti parco, con la riduzione del ruolo degli enti locali, e quella regionalista, per la quale il compito di scegliere le forme di gestione più idonee spetta alle regioni in base alle funzioni loro attribuite, Chiamata ad esprimersi, la Corte Costituzionale indica in uno spirito di leale collaborazione la via da seguire per dare forza ed unitarietà all'azione.
Dopo molte discussioni ed attese, le idee manifestate trovano finalmente una concreta attuazione, nel dicembre del 1991, nell'approvazione della legge quadro che prevede un coordinamento tra le politiche ambientali e quelle urbanistiche attraverso l'elaborazione di un documento di pianificazione integrato, il piano del parco, per evitare delle dannose sovrapposizioni. Suscita quindi molte attese che vanno, però, oltre le reali capacità e, nella sostanza, lascia molte incertezze di carattere interpretativo; tuttavia, dai difficili passi dei primi anni del Novecento, quando la conservazione della natura coincideva unicamente con la tutela delle bellezze paesaggistiche, un traguardo minimo ma non facile comunque da conseguire, si giunge ad una normativa organica che esprime una visione d'insieme, di protezione e valorizzazione di tutti i valori presenti sul territorio. Fornisce, infatti, un quadro normativo che regola e stabilisce la procedura per l'istituzione di parchi e riserve marine, introduce una classificazione ed un elenco ufficiale delle aree protette, prevede le procedure per l'avvio della definizione della Carta della natura che individua lo stato dell'ambiente, premessa necessaria per definire le linee per l'assetto del territorio compatibili con la tutela delle risorse naturali del paese; detta, inoltre, i principi per istituire e gestire i luoghi di particolare importanza naturalistica, proponendosi l'obiettivo di creare un sistema integrato di aree protette che possa promuovere un atteggiamento diverso ed avanzato in tema di governance dell'ambiente, ed evitare un possibile isolamento dovuto ad interventi locali.
Fino alla sua approvazione, infatti, il processo d'integrazione avviene in modo disomogeneo, a tratti occasionale, con uno scarso confronto e coordinamento, e persino delle marcate differenze, fra i diversi momenti istitutivi all'interno di una stessa realtà; la legge quadro invece, apre la strada per un'azione organica di valorizzazione del patrimonio naturale che privilegia il coinvolgimento di tutti i soggetti direttamente interessati. Dispone che il territorio del parco venga articolato “in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela” per permetterne un utilizzo con un diverso livello d'intensità; prevede, infatti, una suddivisione in quattro zone, alle quali si aggiunge all’esterno un’area contigua, con gradi diversi di protezione per conciliare le esigenze di tutela e la presenza dell’uomo con le sue attività agro-silvo-pastorali, gli usi tradizionali, e le altre attività nei limiti di compatibilità stabiliti dal piano.
Le iniziative avviate con la sua introduzione permettono, quindi, di garantire un buon equilibrio tra gli interessi generali della collettività e quelli specifici delle comunità locali; le modifiche apportate negli anni successivi, poi, aggiornano e rafforzano questo rapporto, ma soprattutto avviano una crescente sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul tema della sostenibilità ambientale, nel tentativo di superare il sistema vincolistico del non fare, ovvero dell'imposizione a priori di divieti da rimuovere solo se un'azione si mostri compatibile con il bene tutelato. Dal punto di vista amministrativo si crea l'Ente parco, con il compito di promuovere lo sviluppo del territorio e delle attività che al suo interno si esprimono mediante l'attribuzione di specifiche risorse economiche, sollecitando metodi di gestione idonei a realizzare l'integrazione tra la presenza dell'uomo e l'ambiente salvaguardando le attività tradizionali e promuovendone al tempo stesso la valorizzazione di nuove, compatibili. Diventa quindi prioritario procedere nel fare, nel cercare soluzioni alternative e realizzare nuovi interventi per promuovere la ricerca di una diversa coesistenza. Un compito impostato su considerazioni e strumenti di programmazione innovativi che produce importanti risultati: l'istituzione di nuovi parchi nazionali, Vesuvio, Val Grande, Gargano, Maiella, Gran Sasso e Monti della Laga, Cilento e Vallo di Diano; la definizione di un quadro normativo ed organizzativo unitario per tutte le aree protette; la designazione degli organi e degli strumenti utilizzabili per la gestione.
La sua applicazione incontra, tuttavia, anche difficoltà che determinano ritardi e generano situazioni conflittuali: ad esempio, l'originario elenco predisposto per istituire nuovi parchi nazionali viene ridotto a causa degli insufficienti stanziamenti, con l'esclusione di siti di notevole interesse. Dei parchi esistenti, poi, solo il Gran Paradiso, lo Stelvio e quello d'Abruzzo vengono organizzati secondo la nuova normativa; gli organismi d'indirizzo evidenziano inoltre, pesanti disfunzioni nell'elaborare gli strumenti di programmazione manifestando, il pericolo di ridurre l'intera politica ad una dimensione settoriale senza la necessaria forza strategica ed innovativa; paradigmatico in tal senso è il complicato iter per l'elaborazione della Carta della natura, strumento simbolo di una nuova impostazione, che evidenzia pienamente il difficile percorso, anche culturale, che si è dovuto compiere e le potenzialità rimaste inespresse. La logica burocratica, a tratti prevalente, porta poi ad accentrare le decisioni e produrre contrasti con le comunità locali che vedono, spesso, nella legge soltanto una fonte di nuovi vincoli ed ostacoli difficilmente comprensibili ed accettabili, facendo sentire l'istituzione delle aree protette come un'esigenza imposta, senza la necessaria attenzione per valorizzare le potenzialità del territorio e consentirne un proprio equilibrio. Lì dove si attua una politica esclusiva di conservazione le aree interessate sono, quindi, allontanate dai processi di sviluppo, con negative ripercussioni economiche, al tempo stesso, però, questa marginalità consente di sottrarne molte ai possibili effetti degenerativi; in un ambiente protetto questi territori possono, così, essere promotori del recupero di tradizioni e radici locali, e ciò rappresenta una ricchezza fondamentale per ridisegnare e sostenere un modello di sviluppo fondato sulle ragioni e prospettive di vita tipicamente legate al territorio ed alle sue popolazioni, in grado di generare benefici estesi oltre le realtà locali.
L'approvazione della legge quadro manifesta, quindi, la volontà d'individuare una politica che realizzi un'effettiva integrazione, anche attraverso la modifica dell'idea di tutela, caratterizzata dall'integrare la presenza degli aspetti della protezione con quelli dello sviluppo; la teoria vincolistica è, così, superata dalla sperimentazione di una diversa interazione tra le parti, ed il parco, identificato come un laboratorio per realizzare trasformazioni e creare nuove opportunità. Costituisce, quindi, una radicale svolta all’interno del nostro ordinamento; si fa interprete di due diritti fondamentali riconosciuti nella Carta costituzionale, la protezione del paesaggio e della salute, che dal loro disposto vengono a costituire un autonomo diritto dovere, quello della protezione ambientale; attribuisce, poi, alle aree protette la finalità di “garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale”. Emerge quindi, chiaramente, che lo scopo delle aree naturali protette, partendo dalla protezione della natura, deve tendere a garantire anche al loro esterno un diverso modello di sviluppo, basato sulla sostenibilità del rapporto tra l’uomo e le risorse naturali, su cui innestare un innovativo concetto di conservazione.
Un significativo cambiamento culturale, sintesi del dibattito svolto, che propone aspetti di notevole riflessione nel momento in cui individua il proposito di "realizzare un'integrazione tra uomo ed ambiente", e promuovere "la valorizzazione e sperimentazione di attività produttive compatibili" attraverso una gestione in cui " Stato, regioni ed enti locali attuino forme di cooperazione ed intesa"; i criteri che delinea sono dunque volti a creare e sviluppare un sistema di aree protette per garantire e promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese. A distanza di tempo, ha mantenuto un'inalterata validità dei principi espressi, ed ispirato la normativa successiva “nuovi interventi in campo ambientale”, che ha compiuto un notevole passo in avanti nello sviluppo del concetto di conservazione e promozione dell'ambiente, e dato un forte impulso all'idea della rete ecologica nazionale, dando la possibilità al Ministro dell’Ambiente di promuovere accordi di programma per lo sviluppo di azioni economiche sostenibili nei sistemi territoriali individuati; la novità più significativa, in quanto riconosce per la prima volta il concetto di sistema territoriale.
Al momento dell'approvazione della legge quadro solo il 3% del territorio nazionale era tutelato, mentre oggi (maggio 2003) le aree protette sono ufficialmente 751, diffuse su tutto il territorio nazionale fino ad interessarne oltre il 10%, una percentuale doppia rispetto alla media europea che è del 5%, con 21 parchi nazionali, 16 riserve marine, 99 parchi e 332 riserve naturali regionali, 145 riserve naturali statali, oltre ad altre aree diversamente protette; una realtà composita che ha alimentato molte esperienze di conservazione e maturazione. Soprattutto per le comunità locali, il parco è stata l'occasione per la riscoperta della propria identità storica e culturale, fino alla restituzione del loro nome a territori che erano quasi scomparsi dalle mappe culturali e turistiche; ma è la stessa idea di parco ad essere uscita arricchita da questo processo, rispetto ad una concezione e percezione che la interpretavano sostanzialmente come espressione di esclusività. (© riproduzione riservata)
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