L'uomo e l'ambiente / Il contesto italiano: il pensiero d'inizio Novecento ed i Parchi storici

Tra la metà dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, anche in Italia si propone con forza il tema della tutela ambientale e si manifesta, pur tra non poche difficoltà, l'idea di proteggere particolari aree naturali. La nascita del pensiero ambientalista, però, segue percorsi che presentano caratteristiche diverse rispetto a quelle di altri paesi, e la stessa creazione di parchi avviene con ritardo, anche se non mancano comunque attenzioni nei confronti, ad esempio, del patrimonio forestale; ma, volervi individuare un impegno politico responsabile per un utilizzo sistemico ed equilibrato delle risorse, è forse un'interpretazione forzata. Si osserva, tuttavia, sulla traccia delle esperienze straniere, un incremento d'interesse ed il formarsi d'iniziative, gruppi, movimenti ed associazioni che promuovono la ricerca e la cultura naturalistica, compiendo anche dei concreti interventi, ed indirizzano proposte e sollecitazioni alle autorità competenti ed alle assemblee legislative; i risultati che ottengono, però, sono spesso limitati a singoli provvedimenti, la loro azione, infatti, s'inserisce nel contesto sociale e culturale di un paese largamente agricolo, dove l'interesse per le tematiche della protezione ambientale è ancora modesto.

Nel 1863, su iniziativa di Quintino Sella, nasce a Torino il Club Alpino italiano, con lo scopo di diffondere la promozione dell'attività alpinistica e la conoscenza dei valori del patrimonio montano; nel 1871, sempre a Torino, si forma la Società Zoofila piemontese, sotto l'egida di Giuseppe Garibaldi, ed in Valle d'Aosta, nello stesso periodo, la Société de la flore valdòtaine, tra le associazioni fondatrici nel 1948 del Movimento italiano per la Protezione della Natura, il primo a proporre degli interventi finalizzati alla specifica tutela del patrimonio ambientale; nel 1888, con un'impronta tipicamente scientifica, si costituisce a Firenze la Società botanica italiana; con la denominazione di Touring Club ciclistico Italiano, in seguito solo, Touring Club Italiano nel 1894 viene, poi, fondata un'associazione che si occuperà di questioni naturalistiche e di protezione dell'ambiente ancor prima di altre a tale scopo specificamente deputate; nel 1898, a Roma, nasce l'Associazione nazionale Pro Montibus et Sylvis, da molti reputata un modello per tutte le altre organizzazioni che operano nel settore per il ruolo propulsivo che esercita nel favorire la nascita di nuove aree protette; lo stesso anno, inoltre, si fonda il Gruppo Naturalistico Giuseppe Ragazzoni.

A livello parlamentare, nel 1905, il deputato fiorentino Giovanni Rosadi è relatore alla Camera di una legge speciale per la protezione della Pineta di Ravenna, un sito d'origine romana sottoposto da tempo ad uno sfruttamento intensivo che lo minaccia gravemente; l'Assemblea legislativa discute quindi, per la prima volta, una proposta di legge a protezione di un’area naturale non urbana, e vara una disposizione per la sua conservazione, il primo concreto intervento in tal senso, espressione di un nuovo interesse per i temi della tutela del patrimonio ambientale. Lo stesso deputato, poi, propone un progetto legislativo in cui la protezione è, però, limitata alle cose mobili ed immobili d'interesse storico, archeologico ed artistico, e l'apertura agli elementi propri del naturalismo incontra ancora forti ostacoli; così come in una seguente proposta che, pur ampliando l'area d'intervento a parchi e giardini d'interesse storico esclude, però, i beni naturali che si trovano oltre i confini urbani e non hanno un particolare rilievo culturale. In precedenza, nel 1910, mancando un'esplicita proposta da parte del governo, il Rosadi aveva già depositato alla Camera, unico firmatario, un progetto per la difesa del paesaggio, il suo impegno non aveva però trovato il necessario supporto e la proposta non era neppure pervenuta alla discussione dell'aula. Gli aspetti della tutela, ed i relativi provvedimenti risultano, perciò, ancora vincolati dalla presenza di valori cui, quelli di carattere paesaggistico e scientifico, si possono solo affiancare; tuttavia, i successivi approfondimenti elaborano delle riflessioni che, confluite in un disegno di legge , dispongono un'azione di salvaguardia anche per i beni che presentano un prevalente rilievo naturalistico.

Il primo significativo riferimento legislativo sotto il profilo della tutela del territorio si ha, però, solo verso la fine degli anni Trenta. Fino a questa data, infatti, la bellezza naturale è considerata quasi unicamente come un fattore estetico, e non come forma, aspetto e sostanza del territorio, una visione limitata del concetto di ambiente, che non riesce ancora ad assumere una propria identità. La nuova legge detta, invece, una disciplina strutturata e coerente con gli indirizzi della protezione paesaggistica, integra tra i caratteri valutativi anche quelli relativi alla singolarità geologica, ed inserisce nella discussione il tema della pianificazione, proponendo il piano territoriale paesistico quale strumento operativo per disciplinare le azioni di tutela; ma è un segnale ancora incerto ed ottiene un riscontro modesto ed uno scarso rilievo applicativo.

Il 3 dicembre 1922, sui territori di una riserva reale di caccia donati due anni prima dal Re Vittorio Emanuele III, viene istituito il primo parco nazionale, quello del Gran Paradiso; l'anno successivo è poi la volta del parco nazionale d'Abruzzo sorto, di fatto, un anno prima per un'iniziativa privata a cura dell'Associazione Pro Montibus et Sylvis. L'Italia sembra, quindi, pervasa da un crescente entusiasmo e dinamismo nella tutela ambientale, e si parla con insistenza di nuovi parchi nazionali, ma la realtà sarà diversa ed inferiore alle attese, caratterizzata da poche iniziative e su un territorio ampiamente sfruttato per la coltivazione, in nome dell'autosufficienza e della autarchia, con gravi danni per gli equilibri ambientali. Una fase del pensiero conservazionista la cui azione è certamente influenzata dalle debolezze intrinseche del periodo che costringono all'emarginazione culturale o all'emigrazione chi ne contesta gli indirizzi, con il risultato di un progressivo, costante, indebolimento della forza delle organizzazioni ambientaliste.

Altri due parchi nasceranno, quindi, solo dieci anni dopo e con uno spirito notevolmente diverso, quello del Circeo nel 1934, e quello dello Stelvio nel 1935. La diversità è relativa al fatto che, mentre l'istituzione dei primi, su territori già sottratti agli interessi locali, è preceduta da intensi dibattiti che rendono partecipe l'opinione pubblica, quella dei secondi, invece, è subita dalle popolazioni locali come un'imposizione ed un'indebita ingerenza, in conflitto con i loro obiettivi; una costante di pensiero sopravvissuta, poi, nel tempo. Negli anni seguenti non si registrano ulteriori istituzioni di aree protette, né delle sostanziali trasformazioni del territorio fino al dopoguerra, quando si avvia il processo di ricostruzione senza, però, la necessaria opera di pianificazione lasciando, invece, che si affermi una tendenza fortemente permissiva che provoca dei danni notevoli. Il miglioramento della situazione economica, infatti, induce ad un atteggiamento positivo verso i modelli espansivi ed incoraggia anche l'azione degli speculatori, rendendo impopolari le posizioni che invitano a valutare gli effetti negativi di una tale forma di sviluppo, ed a contenerne almeno gli aspetti maggiormente deleteri. Mancando una tendenza culturale consolidata e le condizioni politiche favorevoli alla tutela, il compito viene portato avanti da ristretti gruppi di studiosi che manifestano nuove iniziative tra cui, nel 1948, la costituzione del Movimento Italiano per la Protezione della Natura, che offre importanti ed innovative indicazioni, con l'intento di tutelare e diffondere i valori ambientali e far acquisire il concetto di patrimonio comune delle ricchezze e risorse naturali; ma, soprattutto, di sviluppare i parchi nazionali anche in chiave economica e sociale, quali strumenti per arginare la disoccupazione e lo spopolamento delle montagne, particolarmente consistenti. Una proposta che, tuttavia, non fa registrare fattivi risultati, si segnalano, invece, molte carenze nel funzionamento dei parchi, distanza tra organi di governo e collettività locali e, soprattutto, scarso coordinamento tra le diverse autorità a causa della mancata attribuzione di competenze e poteri pianificatori; disfunzioni destinate ad aggravarsi ulteriormente a causa della tardiva attuazione dei principi costituzionali relativi alle competenze regionali; i parchi operano, quindi, solo attraverso l’imposizione di divieti e limitazioni, con l'unica nuova istituzione, alla fine degli anni Sessanta, del parco nazionale della Calabria, l'ultimo dei cosiddetti storici.

Nel 1952, viene nominata una commissione del Consiglio nazionale delle Ricerche per redigere una proposta che regolamenti i parchi, la quale, pur tra molti ostacoli, riesce ad elaborare un testo che stabilisce i principi per l'identificazione delle aree da riconoscere quali parchi nazionali in base alla rilevanza degli ambienti "rarità, interessi geologici, zoologici, botanici ed estetici" e gli scopi da perseguire per una gestione conservativa dell'equilibrio biologico e per l'educazione all'osservazione della natura prevedendo, inoltre, un'innovativa distinzione tra zone con vincolo di tutela integrale e zone aperte alle attività economiche, regolamentate da norme che tengano conto delle specificità locali; a causa della fine della legislatura non riesce, però, ad essere convertito in legge. Nel corso della successiva, comunque, un'ulteriore proposta prevede la prospettiva di un decentramento regionale, cui la Provincia autonoma di Trento per prima dà una risposta concreta con il piano urbanistico provinciale, all'interno del quale affronta il tema in modo organico e nuovo; per la prima volta, infatti, l'argomento non è trattato attraverso l'istituzione diretta di un'area protetta, ma mediante uno strumento di pianificazione territoriale generale che individua una serie di territori da sottoporre a tutela, e ne fissa i principi d'uso e gestione.

Si passa, così, da un momento di salvaguardia isolato ad un concetto, ben più logico e moderno, di sistema gestionale esteso a tutto il territorio, anche mediante la creazione di una rete di particolare rilievo naturalistico ed ambientale; un passo che segna l'avvio di una nuova fase nella gestione dei parchi, quali soggetti d'interesse ed importanza territoriale diffusa e non più limitata al solo, pur rilevante, singolo interesse naturalistico. Questa impostazione trova, poi, ulteriore conferma nell'azione condotta dalle regioni, ed in particolare dalla Lombardia, che identificano l'intervento nell'insieme delle competenze della politica territoriale, sostenendo che le aree protette, pur nella loro specificità, non possono essere considerate materia a sé stante. Partendo da tale assunto propongono, dunque, una normativa impostata su un semplice ma efficace schema concettuale così articolato: la formazione ed approvazione di un piano regionale per le aree protette, l'istituzione con singoli provvedimenti, la pianificazione specifica per ognuna di esse. La rigidità nell'applicazione e nella sequenza temporale delle diverse fasi dimostra che questo è il metodo più efficace per definire un sistema coordinato d'intervento; infatti, laddove si è prodotto un piano generale, procedendo all'istituzione di singole aree e dotando ognuna degli strumenti di pianificazione e programmazione, si è riusciti a costruire un concreto sistema, con risultati tangibili ed un rafforzamento della coscienza e della cultura ambientale. Al contrario, dove si è ritenuto inutile procedere con questa metodologia, sovente, poi, non si è riusciti ad affermare una vera politica di sistema, e si sono prodotte solo forme di tutela isolate, difficilmente gestibili, che hanno spesso generato anche dei rapporti conflittuali. (© riproduzione riservata)
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