Esperienze di governance nelle aree naturali protette transfrontaliere

Nell’ambito del dibattito sulla conservazione ambientale, ed in particolare sulla gestione delle aree naturali protette, particolarmente interessante è l'analisi che analizza la possibilità di applicare a tale gestione una prospettiva di governance, ovvero di un processo attraverso cui interessi diversi e potenzialmente in conflitto possono essere conciliati sulla base di azioni impostate sulla cooperazione tra i molteplici soggetti coinvolti.


Il suddetto dibattito è stato caratterizzato dal passaggio da una visione vincolista ed esclusiva, che ha trovato espressione in un'ottica di tipo museale con cui a lungo si sono interpretate le zone sottoposte a tutela, ad una aperta al confronto, che in contrapposizione può definirsi inclusiva, volta a considerarle promotrici di una gestione orientata ai principi dello sviluppo sostenibile, ovvero alla necessità di proteggere la diversità biologica attraverso un equo impiego delle risorse ed un’opportuna divisione dei benefici ambientali, sociali ed economici, per mezzo di un processo di coinvolgimento e partecipazione che rispecchi specificità e caratteri delle singole realtà.

L'attenzione si concentra, così, sulla capacità di attivare indirizzi gestionali in grado di generare effetti che risultino compatibili con le aspettative e gli interessi di un'ottica ambientale, coniugandoli ed integrandoli, però, con le esigenze e le potenzialità espresse dal territorio; quando si riscontra un effettivo, ampio e sostanziale coinvolgimento di tutti gli stakeholder, allora, si realizza una gestione pienamente partecipata.

L’evoluzione normativa ha, quindi, configurato le aree protette come luoghi atti a sperimentare modelli di valorizzazione delle risorse ambientali, dalla scala locale a quella sovranazionale; realizzazioni caratterizzate da una vasta tipologia, dovuta sia ai diversi momenti istitutivi sia alle eterogenee situazioni naturali, economiche e culturali presenti, che hanno delineato un assetto composito di molteplici e complesse competenze. Alla crescita quantitativa, però, non ne è corrisposta un'analoga di tipo qualitativo; per dare risposte efficienti alla realizzazione delle potenzialità espresse dalle diverse identità, infatti, è sempre più necessario adottare politiche gestionali che, applicando un modello integrato e fortemente condiviso, possano formulare interventi in grado di coinvolgere tutte le parti interessate in un'interazione apportatrice di un reale valore aggiunto.

Compito di una gestione così orientata, allora, è attuare un controllo delle dinamiche e dell’intensità delle trasformazioni di tali aree in un orizzonte di lungo periodo, attraverso un bilanciamento tra misure di protezione rigida ed esclusiva ed altre caratterizzate da una maggiore flessibilità, in grado d'interpretarle non solo in senso vincolistico ma di sottolinearne anche gli specifici tratti distintivi; per raggiungere tale obiettivo, dunque, deve essere alimentato un più intenso coinvolgimento nei processi consultivi e decisionali, per determinare un più alto livello d'equilibrio nel rapporto tra elementi e spazi naturali ed antropici.

L’attenzione si sposta, quindi, dal government alla governance, dalla formazione ed esercizio delle regole ai procedimenti di partecipazione e negoziazione bottom-up, per ampliare il consenso attorno alle scelte; si rileva, infatti, una maggiore disponibilità delle comunità locali verso le tematiche gestionali nel momento in cui esistono le condizioni perché esse possano coltivare anche proprie iniziative e mantenere un grado di controllo sulle risorse e sui processi di sviluppo collegati. Un coinvolgimento rivolto a coloro che hanno un mandato specifico o un diritto acquisito quali, enti di gestione, amministrazioni locali, operatori economici, organizzazioni non governative ed istituzioni di ricerca ma anche e, soprattutto, alle popolazioni residenti, per i preziosi contributi che possono dare in sede di pianificazione, monitoraggio e valutazione degli interventi proposti. Ad esempio, in merito alla sorveglianza dei fenomeni naturali e degli usi impropri del territorio, all'attenuazione delle dispute per l'attuazione dei regolamenti o al miglioramento dei rapporti tra le aree di confine.

Nel dibattito e negli orientamenti degli organismi preposti alla conservazione della natura fa così ingresso il concetto del collaborative management, quella situazione in cui soggetti a vario titolo interessati, risultano tutti coinvolti nelle attività di governo in una necessaria e strategica interazione dialettica, e lo scenario che si delinea evidenzia una sempre più ampia reticolarità che coinvolge in un progetto unitario una pluralità di risorse ed interessi. Un'ottica in cui le aree sottoposte a vincolo conservativo esprimono un progetto che travalica l’aspetto strettamente naturalistico per estendersi alla tutela dei valori e delle identità espresse dal territorio. Un tratto avvalorato dalla constatazione che, a livello europeo, l'aspetto preminente non è mai stato tanto quello della wilderness quanto, piuttosto, del paesaggio culturale, espressione degli equilibri raggiunti nel rapporto tra l'uomo e l'ambiente.

Gli orientamenti manifestati nei Programmi comunitari attribuiscono inoltre, alle aree naturali protette, anche una funzione primaria nel costruire una prospettiva transnazionale del territorio europeo e nel realizzare una rete continentale per il riequilibrio ecologico. Questa dovrebbe attuarsi non tanto o soltanto attraverso l'estensione della superficie o l'aumento del loro numero quanto, piuttosto, per mezzo di un più forte coordinamento e sviluppo di relazioni tese a valorizzare la percezione dei beni ambientali, ed una più vasta integrazione tra le diverse realtà locali, sostenuta da interventi improntati ai caratteri della sostenibilità, in grado di promuovere l'evoluzione dei territori di frontiera da zone di separazione a spazi di aggregazione. Ciò sottolinea, quindi, l'insufficienza di politiche elaborate in maniera isolata e per mezzo di azioni periferiche, e la necessità di attuare, invece, politiche di sistema in grado di generare effetti compatibili con le molteplici esigenze e potenzialità, per il cui tramite le linee gestionali possano definitivamente uscire di confini di specialità.

Per realizzarle, però, occorre accogliere un’ottica interpretativa aperta al confronto, volta a considerarle compiutamente inserite nelle problematiche del territorio su cui insistono. Strumenti per una politica di conservazione e mantenimento degli equilibri ecologici e del paesaggio, compreso quello umano, in grado di esprimersi progettualmente tramite la promozione di iniziative che escano da una sfera di protezione passiva per mostrare come l'obiettivo della tutela possa integrarsi con quello della valorizzazione delle identità locali, in una prospettiva di compatibilità tra esigenze ambientali e ragioni economiche espressa in termini di sviluppo sostenibile, "in grado di soddisfare le esigenze della generazione presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare le proprie". La crescente attenzione sul ruolo delle aree protette nel quadro della cooperazione internazionale ha trovato, così, espressione in numerosi accordi ed iniziative, e dato luogo ad un ampio spettro di esperienze che hanno reso possibile realizzare strategie di collaborazione e costruire esperienze significative per attuare un approccio multiscala indipendentemente dai confini amministrativi.

In questo quadro interpretativo, grande importanza assumono le forme di cooperazione soggette a giurisdizioni diverse e, in particolare, quelle iniziative di livello transfrontaliero, tra cui l’istituzione del Santuario per i mammiferi marini del Mar Mediterraneo e, nel contesto delle relazioni di confine dello spazio alpino italo-francese, le esperienze dei complessi Alpi Marittime-Mercantour e Gran Paradiso-Vanoise.

Gli esempi proposti evidenziano come le aree protette devono affermare il loro ruolo non più confinato su posizioni di puro protezionismo ma capace di agire, attraverso una concreta progettualità, per superare l’idea di astrazione dal contesto su cui insistono. Una strategia da perseguire attraverso la definizione di modelli strettamente relazionati alle specifiche realtà, caratterizzati da un livello progettuale, esecutivo e gestionale fortemente condiviso, in un processo nel quale ciascuno è chiamato a collaborare per una valorizzazione complessiva attraverso il passaggio da una logica di vincoli e comandi ad una di governance del territorio.


Un orientamento, però, che rischia di non produrre significativi effetti se si esaurisce nell’azione individuale di una singola realtà, è, invece, fondamentale sviluppare politiche di rete in grado di evidenziare l’importanza dell’insieme aree protette fuori dai confini esclusivi di una sfera di pura protezione passiva. Le politiche per isole, infatti, non sono più sufficienti, occorrono invece politiche volte ad includere in maniera organica e sistematica il patrimonio naturale in più articolate linee di sviluppo, al fine di valorizzare la ricchezza delle diversità e cogliere le opportunità che si aprono con la creazione di un valore aggiunto su contesti assai più ampi dei parchi, e mostrare, così, come gli obiettivi della conservazione possono concretamente integrarsi, indipendentemente dalla scala geografica su cui si indirizza l’analisi, con quelli della fruizione e valorizzazione economica, sociale e culturale dei territori. (© riproduzione riservata)
__________

Il Santuario per i mammiferi marini del Mar Mediterraneo

Lo spazio alpino italo-francese

ARTICOLI PIU' LETTI

La responsabilità sociale d'impresa: per una governance nel rapporto impresa-territorio / La CSR in Italia

UTE / Uomini Territori Economie

L'uomo e l'ambiente / Yellowstone, la nascita dei parchi