L'uomo e l'ambiente / I Programmi di azione per l'ambiente

Il percorso evolutivo verso l'elaborazione di un modello di sviluppo integrato si sviluppa anche attraverso le indicazioni della conferenza mondiale sui parchi di Nuova Delhi del 1969, e quelle stabilite nella Conferenza delle Nazioni Unite di Stoccolma del 1972, in cui viene adottata una dichiarazione recante i principi sui diritti e le responsabilità dell'uomo in relazione all'ambiente, e si evidenzia l'importanza di tutelare i diversi habitat attraverso interventi che coinvolgano i processi legislativi ed economici dei singoli paesi. Nel 1980, poi, la IUCN pubblica un documento dal titolo, "una strategia mondiale per la conservazione delle risorse naturali ed uno sviluppo razionale e durevole", in cui sostiene la realizzazione di processi d'integrazione tra gli aspetti conservativi e di sostenibilità ambientale, anche attraverso la creazione di aree protette.

Nonostante la tutela dell'ambiente non risulti esplicitamente inserita tra le competenze all’atto della sua fondazione, la Comunità Europea conduce, tuttavia, un’ampia azione in materia, per prevenire ed eliminare eventuali ostacoli e distorsioni nella salvaguardia e nell’utilizzo delle risorse, derivanti da norme introdotte in modo unilaterale e non coordinato. Nel luglio del 1971, viene presentata al Consiglio la prima Comunicazione sulla tutela ambientale; tuttavia, mancano ancora le competenze legislative e finanziarie per un intervento diretto e così, solo dopo averle potenziate, la Commissione può formulare le linee guida per redigere i principi e gli obiettivi dei Programmi d'azione. I primi due, 1973-'77 e 1978-'81, riguardano soprattutto il tema dell'inquinamento, anche se nel secondo si inizia ad affrontare quello della tutela della fauna; il Terzo, 1982-'86, prende in esame la necessità della prevenzione dei danni ambientali quale presupposto della politica per le aree protette, ma evidenzia anche la debolezza della base giuridica esistente, che alimenta l'opposizione ad assegnare alla Comunità delle specifiche responsabilità.

Nel 1983, intanto, viene istituita la Commissione per lo Sviluppo e l'Ambiente delle Nazioni Unite, presieduta da Gro Harem Brundtland, che nel rapporto "il Nostro futuro comune" formula la definizione ufficialmente riconosciuta di sviluppo sostenibile, quello "che è in grado di soddisfare le esigenze della generazione presente senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare le proprie". Il concetto di sviluppo sostenibile sintetizza il problema di come riuscire a rendere compatibili le esigenze dell'economia con le ragioni dell'ambiente. Riflessioni scaturite dalla consapevolezza di una sostanziale contraddizione tra la crescita del prodotto interno lordo e la limitatezza delle risorse di molti paesi, e dalla contestuale riduzione della capacità ambientale di assorbire rifiuti ed emissioni inquinanti; la sostenibilità rappresenta, quindi, una visione globale del concetto di sviluppo, esaminato non solo dal punto di vista economico ma anche sociale, che si attua entro i limiti delle possibilità ecologiche degli ecosistemi e della loro capacità di soddisfare i bisogni futuri attraverso un uso razionale delle risorse.

L'Atto Unico, entrato in vigore il 1° luglio 1987, inserisce poi nel Trattato dell'Unione un titolo, il VII°, dedicato in maniera specifica all'ambiente, che diventa così oggetto di un'azione finalizzata per la sua salvaguardia; con il Quarto Programma d'azione, poi, la politica europea delle aree protette assume un carattere generale ed organico con la predisposizione della rete Natura 2000. L’obiettivo di salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità ambientale acquista, quindi, ulteriore importanza nel 1992 con il Trattato di Maastricht, che pone la finalità prioritaria di promuovere una crescita sostenibile e rispettosa dell’ambiente, e riconosce la necessità di una maggiore integrazione tra le politiche coinvolte.

La sempre più pressante urgenza nell'individuare un percorso comune per definire le linee di uno sviluppo improntato ai principi della sostenibilità porta, dunque, la comunità internazionale a riunirsi nel 1992 a Rio de Janeiro per la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, Vertice della Terra; qui si manifesta la necessità d'affrontare su scala planetaria i problemi dell'ambiente e la ricerca delle possibili soluzioni per avere la disponibilità delle risorse ed accrescere la capacità di sviluppo, senza forzare, però, i limiti di carico della natura, ma gestendola in modo efficiente, proponendo misure nella direzione della compatibilità. Durante la Conferenza si negoziano ed approvano tre dichiarazioni di principi e si firmano due convenzioni: la Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste, che sancisce il diritto degli stati di utilizzare le foreste secondo le proprie necessità, senza ledere i principi di conservazione e sviluppo delle stesse; la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, cui seguirà la Convenzione sulla desertificazione, che pone obblighi mirati a contenere e stabilizzare la produzione dei gas che contribuiscono all'effetto serra; la Convenzione quadro sulla biodiversità, con l'obiettivo di tutelare le specie nei loro habitat naturali e reintegrare quelle in via di estinzione; la Dichiarazione su ambiente e sviluppo, che definisce in ventisette principi, diritti e responsabilità delle nazioni nei riguardi dello sviluppo sostenibile; l'Agenda 21, il programma d'azione per il XXI secolo, che pone lo sviluppo sostenibile come una prospettiva da perseguire a livello globale.

L'A21 è un documento d'intenti ed obiettivi programmatici su ambiente, economia e società, suddiviso in quattro sezioni che analizzano le dimensioni economiche e sociali, la conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo, il rafforzamento del ruolo delle forze sociali e gli strumenti di attuazione; definisce il piano d'azione per specifiche iniziative mirate a coniugare gli aspetti socio-economici ed ambientali in una visione integrata ed intersettoriale, ribadendo la necessità che i singoli governi "adottino strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile, assicurando uno sviluppo responsabile verso la società, proteggendo, nel contempo, le risorse fondamentali e l'ambiente per il beneficio delle future generazioni". Il capitolo 28, in particolare, "Iniziative delle amministrazioni locali di supporto all'Agenda 21" riconosce un ruolo decisivo alle comunità locali nell'attuare politiche di sostenibilità, evidenziando che "ogni amministrazione locale dovrebbe dialogare con i cittadini, le organizzazioni locali e le imprese private, ed adottare una propria agenda locale […] ed attraverso la consultazione e costruzione del consenso acquisire le informazioni necessarie per formulare le migliori strategie".

Un piano d'azione per lo sviluppo sostenibile non deve solo promuovere la conservazione delle risorse, ma anche sollecitare attività produttive compatibili con gli usi futuri, ne deriva che l’applicazione del concetto di sviluppo sostenibile è, da un lato, dinamica, ovvero legata alle conoscenze ed all'effettivo stato dell'ambiente e degli ecosistemi, dall'altro consiglia un approccio cautelativo riguardo alle situazioni ed alle azioni che possono compromettere gli equilibri ambientali, attivando un processo continuo di correzione degli errori. Un nuovo modo di considerare ciò che ciascuno fa e il modo nel quale viene fatto. Per sovrintendere all'applicazione degli accordi nasce una Commissione con il mandato di elaborare gli indirizzi politici e promuovere il dialogo e la collaborazione tra governi e gruppi sociali. La valutazione dello stato d'attuazione del piano pone in evidenza come negli anni di vita ha dato origine ad un vero e proprio strumento amministrativo di lavoro, un modello procedurale standardizzato a livello internazionale, di governance per la sostenibilità, applicato da enti locali in tutto il mondo, ed anche se il risultato a livello globale non appare affatto un obiettivo scontato e ravvicinato da raggiungere, tuttavia, gli si deve sicuramente attribuire un buon successo relativamente all'estensione nella diffusione ed al livello di azioni avviate.

L’esigenza di utilizzare una gamma più ampia di strumenti e la necessità di adottare un approccio bottom up, dal basso verso l’alto, che presuppone l’interazione tra tutti gli attori economici e sociali, e la cui efficacia dipende dal tipo e dalla qualità del dialogo, è alla base, poi, dell'approvazione del Quinto Programma d'azione ambientale, 1992-'99, "Per uno sviluppo durevole e sostenibile", recepito con provvedimento CIPE 28 dicembre 1993, che innova profondamente l'approccio istituzionale ai temi ambientali ed è finalizzato a garantire il benessere e l’espansione sociale ed economica.

L'approccio seguito è di tipo preventivo, e sposta l’asse degli interventi dal, comando e controllo, all'integrazione delle politiche per l'ambiente con le regole di mercato, attraverso il calcolo delle esternalità ambientali, sia nella formulazione dei prezzi che nei processi economici, sollecitando i processi di ricerca ed innovazione, la cooperazione tra pubblica amministrazione ed imprese, la diffusione delle informazioni; soggetto attivo è, quindi, l'intera società, coinvolta in tutti i segmenti di aggregazione. Nelle sue linee d'intervento s'individuano cinque settori chiave da analizzare con una particolare attenzione: l'industria, soprattutto quella manifatturiera, l'energia, i trasporti, l'agricoltura ed il turismo; inoltre, la gestione delle risorse naturali e della diversità biologica diventa un criterio d'indirizzo anche per lo sviluppo economico e sociale e si prevede, altresì, la realizzazione di un sistema di aree naturali protette. La sua approvazione segna, quindi, un vasto e più ampio impegno ambientale; l'analisi della sua effettiva attuazione, però, evidenzia che, nonostante i progressi ottenuti in alcune aree, i problemi permangono e l'ambiente continuerà a deteriorarsi a meno di una maggiore integrazione e responsabilizzazione di tutte le parti interessate; ovvero, di un rinnovato impulso complessivo verso le tematiche espresse. Nel 1996, una relazione della Commissione consente di fare il punto sulla sua applicazione e sulle politiche ambientali in atto; le conclusioni di questo primo bilancio indicano, però, come, "non si sono verificate le modifiche dei comportamenti e la volontà di avviare una svolta, che sono indispensabili se si vuole progredire in direzione di uno sviluppo durevole e sostenibile".

In questo contesto si sviluppa, quindi, il Sesto Programma comunitario, 2002-'10, "Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta", con lo scopo di sostenere a livello europeo il processo avviato dalla conferenza di Rio, anche alla luce delle tematiche affrontate nel corso del primo Forum mondiale dei ministri dell’ambiente tenutosi a Malmoe, in Svezia, nel maggio del 2000, in vista della revisione di Agenda XXI, per garantire una migliore applicazione delle misure ambientali a livello mondiale, nonché una maggiore operatività dei singoli Paesi in un’ottica di cooperazione internazionale. Identifica le linee guida per promuovere un coordinamento delle tematiche ambientali con gli aspetti sociali ed economici, ed esprimere un livello d'equilibrio nel rapporto tra spazi naturali ed antropici attraverso un più intenso coinvolgimento delle comunità direttamente coinvolte, per facilitare la diffusione di comportamenti maggiormente rispettosi dell'ambiente e sviluppare così un'efficace ed efficiente azione di governo del territorio. Per arrivare ad una migliore e più approfondita integrazione della politica ambientale deve quindi essere stimolata una maggiore partecipazione e responsabilizzazione di tutte le parti interessate. Pur concentrandosi sulle azioni e gli impegni che devono essere intrapresi a livello comunitario, il programma identifica, quindi, anche misure e responsabilità che spettano agli organismi nazionali, regionali e locali, nonché ai diversi settori economici, per ricercare il massimo livello possibile di armonizzazione.

La Comunità affronta dunque le nascenti sfide impostando, oltre all'approccio tradizionale strettamente normativo, una strategia aperta, capace d'indurre i necessari cambiamenti nei modelli di produzione e consumo, per migliorare la qualità dello sviluppo ed aumentarne in misura significativa l'eco efficienza. Gli obiettivi che l'Unione intende perseguire sono individuati in quattro aree d'intervento: cambiamento climatico, ambiente e salute, natura e diversità biologica, gestione delle risorse naturali. Insiste, inoltre, su una corretta applicazione della normativa ambientale prevedendone l'integrazione intersettoriale e sottolineando l’importanza della pianificazione del territorio a livello regionale e locale, nonché l'incentivazione di forme di partecipazione, per promuovere la sostenibilità dello sviluppo rendendolo più rispondente ai criteri ecologici. In particolare prevede la piena attuazione della Rete Natura 2000, l'incremento dell’applicazione delle politiche agricole e regionali per la tutela del paesaggio e delle zone rurali e la realizzazione di iniziative di salvaguardia dell’ambiente marino, attraverso un approccio organizzativo e gestionale incentrato fortemente sui caratteri della partecipazione e del coinvolgimento. (© riproduzione riservata)
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